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Sull’omonima piazza, la più grande per dimensioni di Tricase, si affaccia il complesso monumentale dei Padri Cappuccini, edificato in origine secondo i canoni dei Francescani fuori dall’abitato, con il passare dei secoli si è visto inglobare, ed ora si ritrova nel centro della città.
La struttura elevata sotto il provincialato di Padre Cherubino da Noci, per volere delle mogli dei baroni di Tricase, Pappacoda e Gallone, fu completata nel 1588. L’aspetto esteriore del convento da più l’impressione di una struttura difensiva che di un complesso religioso, questo per via delle caditoie disposte all’altezza di porte e finestre. Disposto su due piani, l’edificio ospitava originariamente ventiquattro celle dei frati al primo livello, mentre il pianterreno era adibito agli ambienti religiosi e alla vita quotidiana per la presenza del forno, di cisterne e depositi. Nella parte centrale del fronte s’inserisce la piccola chiesa conventuale, distinguibile dalla nicchia posta sulla porta d’ingresso, contenente la statua della Madonna Immacolata, scolpita nel 1784 ed attribuita all’alessanese Emanuele Orfano che in quegli anni alloggiava nel convento mentre eseguiva contemporaneamente lavori alla balaustra della Matrice di Tricase. Sulla sommità del complesso si scorge il campanile a vela riportante gli stemmi settecenteschi dei Gallone sul fronte e dei Trane sul retro.
La chiesa intitolata originariamente a San Francesco d’Assisi, oggi è dedicata al culto di Sant’Antonio di Padova. L’interno si presenta a navata rettangolare, sul cui fianco durante il principato di Stefano II Gallone (XVII) furono aperti due profondi cappelloni. Recenti restauri hanno riportato alla luce gli affreschi della volta del presbiterio, ed hanno evidenziato la bellezza dell’altare ligneo cinquecentesco, finemente intarsiato da cappuccini-artisti. Lo stesso è stato rimaneggiato nella prima metà del ‘700, quando i Gallone fecero aggiungere le proprie armi nobiliari sulle basi delle colonne. Un incendio del XX secolo mutilò le due ali dell’altare dove oggi alloggiano le tele originali di “San Francesco che riceve le stimmate” e del “Beato Felice da Cantalice”. La monumentale pala d’altare raffigurante “la Salita al Calvario” è un’eccellente opera tardo-rinascimentale di Domenico Robusti, figlio del Tintoretto, commissionata dai principi Gallone, come testimonia il gallo araldico, che fecero “propria” la chiesa ordinando anche la tela di “Sant’Antonio” dell’omonimo altare, in cui tra l’altro è raffigurato anche il Principe Stefano II. Di pregevole fattura è la tela della “Pietà con San Francesco d’Assisi e committente Mongiò”, opera pittorica che s’inserisce negli anni a cavallo tra i due secoli XVI-XVII.
Infine, riceve il massimo rispetto tutto il parco tele convento, opere pittoriche del XVIII, recentemente restaurate sul saggio incentivo del parroco don Donato Bleve, che coadiuvato dai parrocchiani e dalla città intera, nel 1996 ha fatto realizzare nel nuovo quartiere “zona 167” una nuova chiesa con annesse strutture dedicata a Sant’Antonio